Cenni storici

Il ritrovamento, avvenuto nella seconda metà del XIX secolo di un’antica sepoltura contenente monete del v secolo dopo Cristo nella zona a sud-ovest dell’attuale nucleo abitato e la particolare struttura della zona denominata Sgraffignana, che sembra ricalcare le forme proprie della centuriazione romana, fanno ipotizzare che Castelcovati possa vantare origini molto remote. È stata addirittura avanzata l’ipotesi che un insediamento di genti celtiche potesse esistere nella zona meridionale del territorio castelcovatese. Secondo questa teoria, che rimane una congettura affascinante e meritevole di approfondimento, ma non basata su riscontri di tipo archeologico, gli abitatori di questo luogo sarebbero stati adoratori delle fonti e degli alberi (in latino lignicola).

Stando ai dati certi, il primo documento relativo al territorio castelcovatese fa riferimento ad una chiesa che sorgeva proprio nella zona cui si accennava, interessata dalla bonifiche operate dai benedettini, che resero coltivabili terreni prima occupati da pantani ed acquitrini insalubri: nel 1165 la chiesetta campestre dedicata a S. Maria delle nuvole, situata “nei campi sopra Comezzano” e probabile primo centro di diffusione della fede cristiana nella zona, veniva donata dall’arciprete della pieve di Trenzano ai monaci cluniacensi di Rodendo. Una leggenda vuole che quella chiesa fosse stata costruita dove la Vergine era apparsa “ad una persona del luogo, immersa in un mare di nuvole dorate, una sera al tramonto”.

Il successivo documento riguardante il paese porta la data 26 maggio 1220, giorno in cui il podestà di Brescia Obertino Gambara affrancava da ogni dazio il piccolo castello (o cascinale fortificato) - che quindi esisteva già da un certo periodo di tempo) - di proprietà delle famiglie clarensi Masperoni e Covati. Godendo delle immunità comunali, il borgo assumeva il nome di Villafranca. Solo in seguito sarà chiamato Castrum Coatorum. Fondamentale per lo sviluppo del paese, la cui economia si basava esclusivamente sull’agricoltura, fu lo scavo della roggia Castellana, iniziato nel 1331 e portato a termine nel corso di due secoli. Il lavoro nei campi, duro e poco redditizio(con una resa che non superava 5 o 6 volte il seminato), consentiva alle famiglie castelcovatesi di sopravvivere, nutrendosi di frumento, segale e miglio, coltivati in campi tenuti a “larghe” delimitate da pioppi, platani, gelsi e filari di vite. Estese erano le proprietà delle nobili famiglie cittadine (come i Bargnani), alle quali spettava la maggior parte dei raccolti.

Verso la fine del Trecento sorse (per filiazione dalla pieve originaria: Coccaglio, Trenzano, Rodengo Saiano) la parrocchia posta sotto la protezione di S. Antonio Abate. All’inizio del XV secolo venne edificata la chiesa di S. Marino, dalla dedicazione insolita, forse dovuta alla volontà della nobile famiglia De Marinis di crearsi una sorta di cappella quasi esclusiva, protetta da un santo il cui nome fosse affine a quello della casata. Nel corso del secolo successivo, all’affresco principale di scuola foppesca, raffigurante la Madonna in trono con Bambino e i Santi Antonio Abate e Marino, se ne aggiunsero numerosi altri, ex-voto fatti eseguire in occasione di varie epidemie di peste. Il culto verso la Vergine Addolorata in questo edificio sacro prevarrà su quello rivolto a S. Marino a partire dal Seicento, dopo la costruzione di una cappella laterale in cui venne collocata una Pietà lignea. La vita di Castelcovati a partire dal terzo decennio del Quattrocento si svolse sotto il dominio della Repubblica di Venezia, che aveva nel Bresciano la sua provincia più ricca. L’appartenenza alla Serenissima significò ordine e pace, ma accompagnati da un significativo prelievo fiscale.

Episodi bellici coinvolsero il paese di tanto in tanto, come nell’aprile del 1448, quando le truppe comandate dall’Attendolo, da Cristoforo da Tolentino e da Cesare Martinengo, nell’ambito delle periodiche lotte fra Venezia e Milano per il possesso del Bresciano, posero il loro accampamento fra Roccafranca, Castelcovati, Pontoglio e Calino, depredando le popolazioni inermi. Il Catastico del 1610, descrizione dettagliata di tutta la provincia, a proposito di Castelcovati diceva: “Terra de fuoghi [=famiglie] n° 200. Anime 1000, de quali utili 250, con un poco di Castello, ma destrutto habitato da particolari [=privati]. Il Commun è governato da 12 Consuli, et tre sindici eletti dalla vicinanza [=assemblea di tutti i capifamiglia]”. Sul finaire del XVII secolo venne edificata la torre campanaria, che sorge lontano dalla parrocchiale, probabilmente sui resti di una delle torri dell’antico castello. Qui verranno collocate nel 1822 le cinque nuove campane fuse a Bergamo che tuttora chiamano a raccolta i fedeli per le sacre funzioni.

Nel 1701 si verificò l’evento che più turbò la storia di Castelcovati, non solo perché colpì tragicamente gli abitanti di allora, ma anche per il fatto che i suoi effetti negativi si ripercossero per sempre sull’andamento demografico e quindi socio-economico del paese. Il principe Eugenio di Savoia, comandante dell’esercito austriaco che il 1° settembre di quell’anno aveva vinto una significativa battaglia combattuta sul territorio di Chiari, saccheggiò per rappresaglia il borgo castelcovatese, smantellando intere contrade e non risparmiando la chiesa. Il responsabile involontario di ciò fu il parroco di allora, don Giuseppe Ruffi, che per evitare uno scontro armato fra eserciti che si fronteggiavano nell’ambito della guerra per la successione al trono di Spagna, non aveva avvertito, come precedentemente richiesto, il principe sabaudo della partenza dei nemici francesi. Nell’arco dei tre mesi successivi morirono per ferite, spavento, fame, freddo e malattie oltre 500 dei 1000 abitanti che contava allora Castelcovati. Una cronaca dell’epoca riporta come “fù si barbaro questo foragio che durò tutto il 12 sino al 13 [novembre] con tanta barbaria che sino la chiesa fù del tutto saccheggiata sino dei vasi sacri, salvo il santissimo Sacramento. [...] Il Sig. Arciprete Ruffi fu spogliato  nudo come un fanciullo alla presenza del suo popolo”. Per i cinque anni successivi il paese venne esentato dal pagamento di ogni tassa, al fine di favorirne la ripresa dopo un così duro colpo. Nell’Estimo mercantile bresciano del 1750, vale a dire l’elenco di tutti gli artigiani e commercianti della provincia soggetti all’imposizione fiscale, diciassette sono le persone “estimate” in paese, tra le quali si segnalano per reddito un pigolotto (merciaio ambulante), uno speciale di puro medicinale, l’oste, beccaro (macellaio) e prestinaro (fornaio) nell’osteria dei nobili Bargnani e l’affittuale di un mulino di tre ruote. In quel periodo la vita del paese era movimentata dalla presenza di una banda composta da circa quaranta “bravi”, guidata dai castelcovatesi Sigismondo e Ludovico Riva, annidata prevalentemente lungo l’Oglio e dedita a sequestri di bestiame presso i mercati di Rovato, Chiari e Palazzolo.

A cavallo fra la fine del periodo veneto, l’epoca napoleonica e l’insediarsi del regime austriaco, la costruzione della nuova chiesa parrocchiale fu l’evento attorno al quale ruotò la vita locale per molti anni. Iniziato nel 1792 sotto il parrocchiato di don Francesco Andreoli, il tempio potè considerarsi concluso verso il 1820, anche se molti interventi successivi andarono progressivamente abbellendolo (fino alla consacrazione avvenuta solamente nel 1987, parroco don Lino Toninelli). Nel 1822 vennero collocate sul campanile cinque nuove campane Grazie, poi, alla munificenza di don Paolo Codeferini de Riva la chiesa venne dotata anche di pregevoli paramenti e argenti, come il baldacchino ricamato in oro e sete policrome e il fastoso ostensorio, entrambi acquistati a Milano nel 1836, anno nel quale il paese non fu risparmiato dalla terribile epidemia di colera (che qui causò la morte di 26 persone, sepolte nel nuovo cimitero posto fuori dal centro abitato nel 1810), per scongiurare la quale le famiglie fecero voto a S. Rocco, promettendo di festeggiarlo solennemente ogni anno il 16 agosto. Dalla fine dell’Ottocento si assistette ad un rinnovato slancio nel campo dell’assistenza, che andava al di là delle antiche forme di carità costituite dai monti frumentari, presenti da secoli anche a Castelcovati.

Nel 1897, grazie ad un lascito di Quinto Capitanio, veniva costituito l’asilo infantile, la cui gestione venne affidata alle Piccole suore della Sacra Famiglia, che vennero accompagnate in paese dal loro fondatore, il beato Giuseppe Nascimbeni, e che furono vittime per anni di misteriosi fenomeni quali rumori e spostamenti di oggetti che cessarono solo nel 1911. Grazie alla volontà del parroco don Stefano Chittò nel 1904 venne costituita la prima banda castelcovatese. A don Agostino Ghida si deve, invece, la costruzione di un primo oratorio dedicato all’educazione e allo svago dei ragazzi.Data, poi, al 1953 la realizzazione di un ospizio per anziani grazie alla generosità di Alice Spazzini.

Negli anni Sessanta del Novecento Castelcovati ha conosciuto una tumultuosa crescita economica e urbanistica, realizzatasi grazie ai guadagni sudati da tanti lavoratori pendolari sui cantieri edili nel Milanese. Accompagnava questo fenomeno una massiccia immigrazione dal Sud Italia. Il paese vedeva progressivamente migliorare i servizi disponibili: le nuove scuole materna ed elementare, il municipio, l’ambulatorio, ecc. Non sono mancate problematiche connesse ad un benessere raggiunto forse troppo rapidamente, ma la gente ha saputo mantenere una rete di rapporti significativi grazie alla presenza di una parrocchia vivace e di numerosi gruppi ed associazioni impegnati in diversi campi (sociale, caritativo, culturale, sportivo).

Riferimenti Normativi

Ultima modifica: Lun, 09/11/2015 - 09:38